Whatsapp ha iniziato a chiederci di firmare un contratto. Certo, firmiamo contratti molto spesso, senza la penna, su computer e smartphone, «ehi amico, qui c’è da firmare una piccola cosa, ma tranquillo, se non ti piace, te ne puoi andare e amici come prima»

Ci è successo tante volte, ma stavolta c’è in ballo un mare di rapporti umani: la mia chiesa, i miei ex-compagni di scuola, il mio partito, le associazioni, i miei alunni dei vari corsi… e fortunatamente i miei figli sono grandi, altrimenti avrei ancora le chat dei genitori! Se non mi trovassi bene con le nuove condizioni di Whatsapp, dovrei chiedere a tutta questa gente di migrare?

Ma di che si tratta? Intanto è complicato da capire: il lungo documento non è scritto nello stesso ordine del precedente documento delle condizioni d’uso. Per capire le novità bisogna essere esperti di diritto e dedicare delle ore di studio.

Da quanto ho potuto capire ci sono principalmente due novità, che per noi che siamo in Europa diventano una:

  • Whatsapp scambierà i dati con Facebook (il padrone è lo stesso)
  • Se chatti con qualcuno che usa Whatsapp business, questo può elaborare i tuoi dati e creare un tuo profilo

Ma quali dati possono essere? Non i nostri messaggi, che Whatsapp non può leggere, ma con chi parliamo, quanto parliamo, quali sono i temi di cui ci occupiamo, che tipo di relazioni abbiamo, e altri che non immaginiamo ancora.

Per fortuna siamo in Europa

Allora Zuckerberg ha vinto? Uno contro un miliardo e mezzo, può dire “prendere o lasciare”? Può fare quello che vuole con i nostri dati? No, perché noi siamo europei. Alcune di queste novità non si applicano a chi risiede nell’Unione Europea, in forza del GDPR (la cosiddetta “privacy europea”) la legge sulla protezione dei dati più avanzata al mondo. L’informativa per l’UE non contiene il punto sulla condivisione con Facebook.

E allora che facciamo?

Se Whatsapp vi è andato bene fino ad oggi, andrà bene anche dopo l’8 febbraio, ma facciamo alcune considerazioni per il futuro:

Ci sono troppi monopoli in rete

Non dovremmo essere tutti lì: non dovremmo essere tutti sullo stesso e-commerce (Amazon) sullo stesso social network (Facebook) sulla stessa chat instantanea (Whatsapp), sulla stessa email (Gmail), sullo stesso motore di ricerca (Google) . Ognuno di questi ha un suo monopolio, come consumatori dovremmo un po’ tentare di prendere altre strade, intanto che esce una soluzione alternativa. E i legislatori USA e UE dovrebbero obbligare le piattaforme ad essere interoperabili: Deve essere possibile mandare un messaggio da Telegram ad un utente Whatsapp o di Signal, per esempio. Ma su questo tornerò un’altra volta.

Non chiamatela privacy

È un problema di privacy? Direi che siamo tutti schedati, ma non chiamiamola privacy: si chiamano big data. Non si tratta di qualcuno che vuole sapere se tu hai qualcosa da nascondere; ma di qualcosa di molto più invasivo. Uno di questi mostri potrebbe dire: “ehi Tizio è omosessuale al 95%” prima che lui stesso lo sappia. Oppure Tizio potrebbe essere discriminato sul lavoro per motivi di salute o di amicizie che nemmeno immagina; oppure un governo autoritario può far desistere Tizio da una protesta civile perché potrebbe la polizia suonare non alla sua porta, ma a quelle di tutti i suoi amici, parenti, colleghi: l’incontro tra la cosiddetta intelligenza artificiale e immense quantità di dati sta avendo effetti che iniziamo appena a capire.

sorridiamo un po’, ma il poblema è serio