“Jessico calcetto” si può considerare un meme, un po’ come “noio vulevàn savuar”: se lo diciamo ricordiamo la memorabile scena di Totò e Peppino e allo stesso tempo ironizziamo su qualcuno che parla orribilmente una lingua straniera; se diciamo “supercazzola” ricordiamo il grande Tognazzi, e possiamo deridere un discorso incomprensibile che nasconde il nulla dietro i paroloni. Così Jessico Calcetto è una situazione comica (o tragica) riassunta in due parole: nascondere il numero dell’amante volgendo il nome al maschile e magari aggiungendo “calcetto” o altro contesto in cui la moglie non sia troppo addentro. Mario calcetto, Antonello basket… Orbene, ora «Jessico calcetto» mi sbuca da una notifica dello smartphone ma… «non è come sembra».

Sulla schermata di sblocco del mio fotogrammofono è apparsa la notifica di Instagram: “Jonnhy – pallone” (sì, è scritto orribilmente, lasciamo stare…), uno dei tuoi contatti, usa Instagram come @giovanni**, vuoi seguire la persona in questione?”. Ok, niente paura, mi capita di avere nella rubrica Mac /iCloud/iPhone contatti che risalgono a tempi lontanissimi. Io non ho nulla a che fare con il calcio: non lo capisco. Ma ricordo chi è Johnny – pallone: uno degli allenatori di quando mia figlia giocava a calcetto con i maschietti delle elementari, circa 10 anni fa. Bene, mi dico, forse è il caso di cancellare il contatto, bravo ragazzo, ma non abbiamo niente a che fare da un decennio…

E qui c’è la sorpresa: nella rubrica dell’iPhone non c’é Johnny, né scritto bene né male; avevo cancellato da un po’ di tempo, evidentemente. E nemmeno su iCloud, né nel mio Mac. Ma io fino a pochi mesi usavo un telefono Android: controllo, non è rimasto nel telefono, né sull’account Google: come fa Instagram a dire che Johnny è uno dei miei contatti, se non lo è più?

Probabilmente Instagram ha letto i miei contatti qualche anno fa, o forse li ha presi da Whatsapp (il padrone è lo stesso) . Da Facebook no, non gli ho mai fatto leggere i miei contatti. Ma chissà, forse Johnny ha caricato i suoi, e c’ero anch’io.

È importante? È una cosa terribile? Sì, è importante e no, non è un crimine, non è un complotto. Semplicemente dà l’idea di quanto siano importanti i nostri dati. Alcuni server sanno più cose su di me di quanto io immagini. Io potrei non avere piacere di incontrare questa o quella persona, e avrei, per legge, il diritto di controllarli e modificarli.

Adesso mi spiego un episodio capitatomi durante un corso per adulti disoccupati: un alunno mi chiese di capire perché sul suo smartphone era apparsa così, spontaneamente, per un attimo, la foto di una donna (“ma niente, tutto finito”) in un momento inopportuno. Guardai un po’ il suo telefono, ma tra quello che mi poteva spiegare lui (non molto disinvolto con le tecnologie, e di madrelingua straniera), il poco che potevo vedere e la necessità di riprendere la mia lezione, non seppi che dirgli. Ora immagino: un social suggeriva di contattare o di riprendere i contatti con quella persona. Con disappunto della moglie del mio alunno.

Non darò la colpa di questo “Johnny Pallone” solo a Zuckerberg: i dati corrono troppi, troppo veloci, e troppo numerosi per essere rincorsi dal nostro cervello umano. Le leggi ci sono, ma richiedono un cervello umano che in breve tempo le analizzi, le interpreti, e prenda le contromisure; e che non abbia niente di più urgente da fare.